Romano Guardini, Lettera numero uno

[...] Ma, tutt’a un tratto, nella cantante fuga di profili di una cittadina di provincia, scorsi il grossolano edificio di una fabbrica! Nell’armonico insieme di un paesaggio, in cui tutte le lince ascendenti e discendenti, la massa intera e ogni singola struttura pareva cantassero un’unica, pura melodia, accanto all’alto campanile vidi bruscamente ergersi una ciminiera, che rovinava lutto. Fu terribile! Dovrai darti un po’ la pena di capire tutto questo! Su, nel Nord, ci abbiamo fatto l’abitudine. Sappiamo già che il mondo che ci circonda è stato devastato. Abbiamo persino imparato a vedere valori positivi nell’ineluttabile. Cominciamo ad aprire gli occhi sulla grandezza di questo nuovo mondo della macchina e troviamo già la forza di guardarlo in faccia e di porgere la mano per dargli forma. Ma qui, era tutt’un’altra cosa! Qui viveva ancora una forma amica dell’uomo. Qui c’era ancora una natura «umanamente» abitata. Ed ora vi vedevo irrompere la distruzione. Allora ho sentito ciò di cui lassù, per forza di abitudine, non mi rendevo più conto: il mondo dell’umanità legata alla natura, il mondo della natura compenetrata di umanità, è in procinto di tramontare! Quale tristezza susciti questa constatazione, non ti so dire. E come se si fosse trovato un essere raro, dotato di una vita preziosa - ed ora lo si vedesse declinare verso lo sfacelo. È qui, che ho capito Hòlderlin! [...]

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