Anche quando non si vede... lo sport è partecipazione


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La scomparsa dei colori Luigi Manconi, raccontando la progressiva perdita della vista, racconta un esplicativo episodio vissuto durante una partita di basket: “Per un cieco una partita di basket ha tre suoni: il suono dell’aria, il suono del pallone, il suono del pubblico. Ho avuto la fortuna di essere un vedente fino alla metà degli anni Dieci del Duemila e, dunque, di poter conoscere il basket per averlo visto in diretta in decine e decine di campi e di aver avuto come compagno ideale della mia crescita di adulto la figura di Dino Meneghin, forse il più grande campione italiano della disciplina. E questo che mi permette oggi di «vedere» una partita di basket solo per intuito e suggestione, e solo per la felice e magica combinazione di quei tre suoni. Manca del tutto l’elemento del colore, e questo è davvero una perdita incolmabile, appena attenuata dal fatto che, quando chiedo quali siano i colori dell’Atletico San Lorenzo ‒ la poli-sportiva dell’omonimo quartiere romano di cui ho deciso di essere tifoso ‒ la risposta è: rosso e blu. […]

La palestra, collocata nel cuore del quartiere, è tutta un suono. L’impatto del pallone sul linoleum, ma anche sui palmi delle mani, produce un ritmo e scandisce il tempo; le impronte delle scarpe sul terreno, rallentando e accelerando, raccontano lo svolgimento del confronto. Il suono del pallone è grave, solenne, potente. Sembra più il passo di un gigante che il rimbalzo di una sfera elastica. È curioso: non suggerisce l’idea di un movimento aereo e leggero, agile e dinamico, bensì quello di un rito cadenzato ieraticamente. Il pallone è pesante perché caricato della pressione delle mani e dei corpi che lo contendono e perché ti è impossibile cogliere i lanci. Percepisci il canestro grazie a ciò che lo accompagna: l’entusiasmo o lo sconforto e, talvolta ‒ suono fantastico e misterico ‒ la frustata della rete quando il pallone l’attraversa. Poi c’è il suono dell’aria: si può descrivere una partita di basket seguendo ‒ se ti trovi a metà del lato lungo del campo ‒ gli spostamenti dei corpi, e le folate che producono da un capo all’altro del terreno. Aguzzando l’udito e cercando di isolare quel suono dagli altri, può accadere di cogliere qualcosa di simile a un rombo: le suole delle scarpe, i rimbalzi del pallone, le frasi di incoraggiamento e di eccitazione, i respiri e i singulti, le urla dei tifosi e gli acuti del fischietto dell’arbitro che accompagnano la corsa tutto sembra formare una corrente d’aria e uno sposta- mento di vento che attraversano la scena come una tempesta che raggiunga il suo obiettivo per poi ruotare su se stessa e ripartire in senso inverso. Su tutto questo, c’è il suono del pubblico. È un suono tifoso che, quarant’anni fa, avremmo definito «all’americana», perché allora sembrava che solo negli stadi degli USA si potesse ascoltare una simile composizione delle voci e una simile polifonia. Oggi, qualsiasi campetto e qualsiasi palestra può aspirare ad avere un coro capace di sostenere l’intera partita e l’intera partitura” (Luigi Manconi, La scomparsa dei colori, Garzanti, Milano, 2024, pp. 162-163).

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